IL DANNO DA PERDITA DELLA CAPACITÀ LAVORATIVA

Quando un soggetto subisce una lesione dell’integrità fisica, può riportare:

–          un danno alla salute (danno non patrimoniale),

–          un danno alla capacità lavorativa specifica (danno patrimoniale).

Infatti, è possibile che il pregiudizio patito, oltre ad incidere sull’integrità fisica, precluda o renda più gravoso, per il danneggiato, svolgere la propria occupazione lavorativa.

La capacità lavorativa, astrattamente intesa, è l’idoneità di un soggetto a produrre un reddito; la giurisprudenza ne distingue due forme:

capacità lavorativa generica: ossia la possibilità di svolgere qualsiasi lavoro, anche diverso dal proprio, ma confacente con le proprie attitudini;

capacità lavorativa specifica: ossia l’idoneità a svolgere la propria attuale occupazione (ad esempio, il geometra o il macchinista).

Ambedue le categorie di cui sopra sono autonome l’una rispetto all’altra, pertanto, vanno risarciti al danneggiato, non solo i danni patrimoniali dovuti all’incapacità di continuare ad esercitare l’attività svolta all’epoca del sinistro (danni da incapacità lavorativa specifica), ma anche i danni ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità non consenta alla vittima la possibilità di attendere ad altri lavori, consoni con le sue attitudini, condizioni personali e ambientali, idonei alla produzione di fonti di reddito. In buona sostanza, «gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito» (Cass. 12211/2015)

Riassumendo:

la perdita della capacità lavorativa generica si sostanzia in un danno non patrimoniale consistente nelle difficoltà ad esercitare un’occupazione lavorativa astrattamente intesa;

la perdita della capacità lavorativa specifica è un danno patrimoniale consistente nella difficoltà di continuare a svolgere concretamente il proprio lavoro e da cui scaturisce il danno futuro da lucro cessante.

 

LA PROVA DELLA PERDITA DI CAPACITÀ LAVORATIVA: MICRO E MACRO-PERMANENTI

La lesione alla salute, nella forma dell’invalidità permanente, non produce automaticamente la diminuzione della capacità di guadagno, pertanto, spetta al danneggiato allegare e provare, anche mediante presunzioni, che il pregiudizio fisico abbia inciso sulla sua capacità di produrre reddito.

Infatti, «il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica, quantunque di elevata entità, non determina ipso facto la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato né, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, che presumibilmente avrebbe svolto) e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso» (Cass. 5786/2017). In particolare, il danneggiato:

in caso di lesioni macro-permanenti (pari o superiori al 10%) deve allegare, anche tramite presunzioni, che la lesione alla salute abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica;

in caso di micro-permanenti (pari o inferiori al 9%) si presume che non vi sia un danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica. Infatti, in presenza di lesioni di lieve entità, il pregiudizio subito si ritiene “assorbito” nel danno alla salute (Cass. 15289/2012), salvo la prova contraria addotta dal danneggiato (Cass. 13431/2010).

19. La valutazione del danno futuro da lesioni personali

La giurisprudenza si è spesso soffermata sul danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali. Tale tipologia di pregiudizio:

·va valutata su base prognostica,

il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici.

Pertanto, una volta che la vittima abbia dimostrato la riduzione della capacità di lavoro specifica, «è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa» (Cass. 24209/2019).

Come vedremo nel paragrafo successivo, tale presunzione riguarda solo l’esistenza del danno (il cosiddetto an), mentre, ai fini della sua quantificazione (il quantum), è onere del danneggiato dimostrare la contrazione del reddito dopo il sinistro. Infatti, il giudice, in difetto della suddetta allegazione, non può decidere in via equitativa. Il potere di cui all’art. 1226 c.c. riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, abbia la possibilità di dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito (Cass. 15737/2018; Cass. 25370/2018; Cass. 8896/2016).

 

IL LAVORATORE DIPENDENTE

“il reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni” (art. 137 d. lgs. 209/2005)

Il reddito da porre a base del calcolo

Circa la liquidazione del danno futuro, l’unico riferimento normativo specifico è dato dall’art. 137 d. lgs. 209/2005, a mente del quale, nel caso di danno alla persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina:

per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni;

per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni;

in tutti gli altri casi, il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore al triplo della pensione sociale.

La succitata norma (art. 137 d. lgs. 209/2005) indica il reddito da porre a base del calcolo, ma non offre indicazioni in ordine alla liquidazione del danno.

Posto che l’art. 1223 c.c. postula l’integralità del risarcimento, la valutazione del danno deve essere effettuata mediante la moltiplicazione del reddito perduto “per un adeguato coefficiente di capitalizzazione”. Per il calcolo complessivo, devono essere utilizzati come parametri. Pertanto il reddito perduto va moltiplicato per il coefficiente di capitalizzazione. il danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno non va liquidato moltiplicando il reddito mensile perduto per il numero di mesi per i quali la vittima avrebbe svolto la propria attività lavorativa. Infatti, in tal modo non si considera il vantaggio ottenuto dal creditore nel ricevere immediatamente una somma, che egli avrebbe conseguito solo in futuro. Per questo motivo, entra in gioco il metodo della capitalizzazione, in altre parole si moltiplica il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione.

il giudice di merito è libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili (Cass. 20615/2015, Cass. 9048/2018), a condizione però che si avvalga di coefficienti aggiornati e scientificamente corretti.

Nella liquidazione del danno futuro occorre prendere in considerazione un coefficiente di riduzione per anticipata corresponsione, altrimenti detto coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata.

La giurisprudenza (Cass. 31235/2018) suddivide in due categorie i danni patrimoniali futuri e permanenti, in base al momento in cui viene compiuta la liquidazione:

quelli che si stanno già producendo nel momento della liquidazione e che continueranno a prodursi in futuro (si pensi, agli esborsi per le spese sanitarie e di assistenza in caso di lesioni subite a seguito di un sinistro stradale);

quelli che, pur essendo certi od altamente verosimili nel loro avverarsi, al momento della sentenza non si sono ancora avverati, perché inizieranno a prodursi solo dopo un certo periodo di tempo dalla liquidazione (l’esempio emblematico è costituito dal lucro cessante derivante dalla perdita della capacità di lavoro del minorenne).

– I danni che si stanno già producendo al momento della liquidazione (sub 1) possono essere liquidati in due modi:

moltiplicando l’importo annuo del danno per il numero di anni per i quali il pregiudizio verosimilmente si produrrà; il risultato ottenuto dovrà essere ridotto attraverso lo sconto matematico, pari al “compenso” spettante a chi paga un debito prima della scadenza, in base alla seguente formula:

capitale * il saggio di sconto
______________________________________

il tempo di anticipazione (espresso in dodicesimi)

 

oppure, moltiplicando l’importo annuo del danno per un coefficiente di capitalizzazione anticipata.

– I danni patrimoniali futuri (sub 2), si producono de die in diem e non sono ancora venuti ad esistenza al momento della liquidazione. Ad esempio, nel caso del minore, la perdita della capacità di guadagno, si produrrà solo con il raggiungimento dell’età lavorativa. I suddetti danni possono essere liquidati con il sistema della capitalizzazione, vale a dire moltiplicando l’importo annuo del reddito presumibilmente perduto dalla vittima, per un coefficiente di capitalizzazione:

reddito perduto * coefficiente di capitalizzazione

 

SPETTA AL DANNEGGIATO DIMOSTRARE COME L’EVENTO DANNOSO ABBIA INCISO SULLA SUA POSSIBILITÀ DI GUADAGNO FUTURO.
La giurisprudenza ha affermato che «il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'”an” dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione de danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito» (Cass. 21988/2019; Cass. 15737/2018; Cass. 11361/2014). In buona sostanza, il danneggiato deve:

–          provare il danno subito, anche tramite presunzioni semplici, da cui si evinca la riduzione della capacità lavorativa specifica (an debeatur);

–          dimostrare l’effettiva contrazione dei suoi guadagni in seguito al sinistro (quantum debeatur).

 

La presente disamina è stata sviluppata con necessità di sintesi, non può pertanto considerarsi completa e soprattutto aderente alla singola eventuale casistica che dovrà essere compiutamente analizzata e sviluppata sia in fatto che in diritto tramite effettiva consapevolezza di tutti i fattori ricorrenti nel singolo caso.

Avv. Emanuele Ornaghi